Se anche voi durante i momenti liberi esplorate Netflix vi sarà capitato di volgere lo sguardo al titolo “The Last Dance ” ancora nelle top 10 in Italia oggi.
The Last Dance è un documentario sportivo prodotto da Michael Tollin per ESPN e Netflix, che ripercorre la storia sportiva della squadra NBA dei Chicago Bulls con un’attenzione particolare agli eventi del campionato 97/98. Il successo è stato eclatante raggiungendo la cifra di 23,8 milioni di spettatori divenendo la docu-serie più vista al mondo. I protagonisti sono la stella del basket Michael Jordan e i suoi compagni Scottie Pippen e Dennis Rodman traghettati dal coach Phil Jackson capaci di conquistare ben 6 anelli NBA.
L’opera celebra MJ come lo sportivo più seguito e amato in tutte le sue sfaccettature ,divenendo la figura principale del Basket Americano.
Con il tempo, da “semplice” prodigio sportivo nazionale diviene un fenomeno mediatico mondiale grazie alle numerose partnership con brand, delineando un’innovazione nella politica comunicativa delle aziende commerciali, messe in risalto nell’episodio 5 della serie TV.
MJ cambia radicalmente la figura dello sportivo nel ruolo di testimonial per le aziende essendo precursore dei modelli sportivi incentrati sull’imprenditorialità come CR7, Messi, Tiger Woods, Usain Bolt, David Beckham e i tennisti Rafa Nadal e Roger Federer.
Più che uno sportivo diviene un’icona di sport, una vera e propria strategia aziendale focalizzata non sullo share della marca, non sul product o sul punto vendita ma sulla figura professionale.
La sponsorizzazione per antonomasia è senza dubbio quella avvenuta con Nike, la quale ha permesso al brand, con sede in Oregon, di poter divenire il brand sportivo più penetrante, sbaragliando i competitor come Adidas, Rebook, Puma e Converse, acquisita poi dalla stessa Nike.
L’accordo con Nike viene raccontato in maniera minuziosa nella serie.
La partnership nasce nel 1984 grazie all’intuizione del marketing manager Sonny Vaccaro. La scelta di puntare su Michael oltrepassa i meriti sportivi. Questa è , infatti, figlia di un collegamento viscerale tra la figura sportiva di Jordan e gli elementi di brand identity, come il sacrificio, il non arrendersi mai, le responsabilità e l’emozione della vittoria condivisa con il team. Sono tutti driver unici in cui lo sportivo può immedesimarsi attraverso un consumo identitario.
Successivamente alla sponsorizzazione, Nike decide di immettere nel mercato le scarpe di Jordan, creando un brand ad hoc ,con il nome di AIR JORDAN. Inizialmente le prospettive di guadagno si aggiravano intorno ai tre o quattro milioni ma alla fine dell’anno i ricavi hanno superato di gran lunga le aspettative raggiungendo la cifra di ben 55 milioni. Molto singolare è la storia relativa alle AIR JORDAN 1, disegnate da Peter Moore in colori che richiamavano il team di Chicago, rosso e nero, furono inizialmente bannate dall’NBA in quanto non rispettavano l’uniformità dei giocatori. Secondo alcune voci nonostante i numerosi richiami della lega e annesse multe, Jordan continuò per tutto l’anno ad indossarle, accollando tutte le spese alla nota marca produttrice.
Nike nel 1987 registrò un nuovo logo per promuovere i prodotti Jordan, esso rappresentava la silhouette del cestista intento in un gesto armonioso ed elegante di schiacciata. Jumpman, cosi denominato, ebbe un impatto cosi forte da conquistare definitivamente un’identità di brand, talmente empatica da richiamare alla mente prima Jordan poi Nike, divenendo un brand nel brand, acquisendo una propria autonomia di marketing.
Fu di fondamentale importanza per la diffusione del brand AIR JORDAN la collaborazione con Spike Lee, con una comunicazione commerciale popolare al fine di rendere il brand non solo un marchio registrato ma espressione della cultura urbana e di strada affermatasi negli anni 90.
Oltre a Nike, in ambito sportivo è impossibile non citare le commercial legate al famoso integratore sportivo Gatorade, con lo sviluppo di due spot che sono passati alla storia. Il primo denominato “Be like Mike”. Lo spot riprende “MJ” intento a giocare in campetti di strada a sottolineare il divertimento alla base di ogni prestazione.
Il secondo, molto più serio in termini di destinazione comunicativa, apparso nel 1997 negli ultimi periodi di carriera in cui si sfidano MJ di 39 anni e il suo alter ego di 23. Una continua sfida con se stesso , questo appare chiaro nella logica comunicativa del brand americano.
Sponsorizzazioni eccellenti chiamate a diffondere l’americanità, questo è il punto cardine onnipresente nelle sponsorizzazioni di Jordan, ne è un esempio lampante l’ironica pubblicità The Showdown, apparsa sulle reti emittenti americane nel 1993, con la partecipazione del grande cestista dei Celtic Larry Birds. In un clima ironico amichevole nella seduta di allenamento, i due si sfidano ad una gara di canestri per aggiudicarsi il lunch di Mcdonald, con testuali parole “First one to miss, watches the winner eat”.
MJ diviene il precursore dei testimonial letti in chiave imprenditoriale, e soprattutto in maniera identitaria concepito in come una pratica culturale e sociale possa essere capace di trasmettere modelli di consumo che si avvicinano sempre più a dei lifestyle, in cui il consumer attesta e consolida la propria immagine. Il vivere una determinata cultura sportiva intrinseca di sacrifici ma soprattutto grandi traguardi, con l’imperativo comune del “Nothing is impossible”.
Michael è divenuto un simbolo di una generazione sostenendo il coinvolgimento emotivo di ogni sportman anche amatoriale, con la prerogativa di essere sempre la versione migliore di se stesso in un continuo miglioramento. Perché in fondo ogni bambino con indosso le Jordan sogna di poter “volare a canestro” come il suo idolo, rendendo il tutto meravigliosamente leggero e romantico.
Creato da Simone Maggi