Nelle ultime settimane, Under Armour ha lanciato uno spot per accompagnare il pugile Anthony Joshua verso il suo prossimo incontro con Francis Ngannou. Il film si intitola Forever Is Made Now ed è stato presentato come una produzione all’avanguardia, realizzata grazie all’intelligenza artificiale.
Il progetto ha fatto parlare di sé sia per la forma, sia per il metodo. E ha aperto un confronto interessante su come i brand utilizzano oggi l’AI nella comunicazione e su cosa implichi, in termini di posizionamento, l’uso di strumenti generativi.

Visual con il titolo della campagna di Under Armour
Un film senza l’atleta, ma con un messaggio chiaro.
Il regista Wes Walker, insieme al team di Tool, ha lavorato con una precisa richiesta da parte del brand: realizzare un contenuto utilizzando solo materiale esistente, senza coinvolgere direttamente l’atleta. Il risultato è un video che combina immagini d’archivio, CGI, grafica animata, effetti visivi e doppiaggio AI.
L’obiettivo dichiarato? Raccontare la mentalità con cui Joshua si prepara alla sfida, sottolineando il focus sul presente e la determinazione costante, elementi centrali anche nel posizionamento di Under Armour.
Il riuso del materiale e il tema dell’attribuzione.
Tuttavia, una parte delle riprese presenti nello spot – in particolare alcune immagini su pellicola 35mm – non sono state create per l’occasione, ma provengono da un progetto precedente, realizzato dal regista Gustav Johansson e dal direttore della fotografia André Chementoff.
Questa pratica – il riutilizzo di filmati già esistenti – è piuttosto comune nel settore pubblicitario. Ma ha sollevato qualche critica nel momento in cui non è stata accompagnata da una corretta attribuzione iniziale. Solo in un secondo momento, dopo una segnalazione pubblica da parte degli autori, i loro nomi sono stati inseriti nei crediti aggiuntivi.
Una riflessione più ampia sul ruolo dell’AI nel marketing.
Questo episodio ha acceso il dibattito su un punto centrale: quanto e come l’AI stia cambiando il modo in cui i brand producono contenuti, e soprattutto, come lo raccontano.
L’AI viene sempre più utilizzata per ottimizzare tempi e risorse, ma anche per rafforzare l’immagine di un marchio come innovatore. Tuttavia, quando il risultato finale si basa anche su lavoro creativo umano, è fondamentale che la narrazione resti trasparente.
Identità di marca e coerenza narrativa.
Under Armour ha costruito nel tempo un’identità basata su valori come l’impegno, la resilienza, l’autenticità. Una campagna che punta tutto su velocità e sperimentazione rischia – se non raccontata con chiarezza – di entrare in tensione con quei valori.
Il tema, quindi, non è tanto “se” usare l’AI, quanto “come” integrarla nel racconto di marca. Soprattutto per aziende con un posizionamento forte e riconoscibile.
Cosa può imparare il marketing da questo caso?
Questo episodio suggerisce alcuni spunti utili per chi lavora nel settore:
- Trasparenza: l’attribuzione del lavoro creativo è sempre importante, anche in presenza di licenze corrette.
- Coerenza: il modo in cui comunichiamo una tecnologia deve essere allineato al tono e ai valori del brand.
- Valore umano: anche in un contesto AI-driven, il contributo dei professionisti resta fondamentale e va riconosciuto.
Una questione di equilibrio tra innovazione e rispetto creativo.
La sfida per i brand oggi è trovare un equilibrio credibile tra sperimentazione tecnologica e valorizzazione del lavoro umano. L’AI offre senza dubbio opportunità nuove, ma il suo utilizzo richiede attenzione, soprattutto quando tocca temi sensibili come l’autorialità e l’identità visiva.
Nel caso Under Armour, il risultato tecnico è notevole. Ma ciò che resta più interessante per chi fa comunicazione è la conversazione che ne è nata: un segnale che il modo in cui usiamo (e raccontiamo) l’AI sta diventando parte integrante della strategia di marca.
Articolo scritto da Filippo Panvini
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